le belve di kinshasa

prologo

Il 30 settembre 2012 parto per Repubblica Democratica del Congo, volontaria per la Fondazione Aiutare I Bambini.
Il mio compito è verificare la situazione, fare foto e documentare i progetti finanziati dalla fondazione, in particolare i centri di Kinshasa dell’Opera Don Guanella dedicati ai bambini e alle ragazze di strada. Starò là un mese.

Con me porterò 3 borsoni di medicinali basici, fermenti lattici, disinfettanti, cerotti garze. E magliette, se possibile. E aggiungerò una montagna di pastelli e fogli di carta. Mi raccomandano, quando arrivo, di non dichiarare di avere medicinali. La polizia aeroportuale li sequestrerebbe tutti. Per rivenderli al mercato nero.

Comincio a sentire la responsabilità di quel che sto facendo.

una ridente cittadina sul fiume congo

Kinshasa è una città di 12 milioni di abitanti distesa su 200 chilometri.
La più grande città francofona al mondo, più grande di Parigi e Montreal messe insieme.
In giro c’è un sacco di polizia, tocca fotografare dalla macchina che se ti beccano sei nei guai forti.
In città non c’è via segnalata e non esiste una cartina che sia uguale all’altra. I taxi collettivi si incrociano in corse stralunate da sud a nord, dagli slums ai giardini chiusi delle ambasciate. Un imbottigliamento continuo di umani e di scatole di ferro con le ruote, che da noi non sarebbero buone neanche per uno sfascia carrozze.
Lo squallore è infinito. La puzza dei gas di scarico e di gasolio è insopportabile. C’è così tanto smog che non vedi mai il tramonto.

benvenuti al Point d’Eau*

Al centro diurno Point d’Eau arrivi percorrendo un dedalo di vicoli polverosi che portano al mercato. Per terra, banchetti di miserie, banane ciancicate, ciabatte, vermi secchi, cipolle mango toupè reggiseni. E poi coppe dell’olio ferri chiodi usati già mille volte e arnesi e uno scaldino del saldatore. Sono due giorni che cerca di saldare un radiatore.

Il centro è un fortino. Porta di ferro pesante, filo spinato sui muri di cinta, guardiano all’ingresso. Ma la porta è aperta, per i bambini. Si entra e si esce quando si vuole, però devi farti perquisire per qui non entrano coltelli, taglierini, lamette da barba.

Dento, c’è di tutto.
Ragazzini bambini adolescenti magri come chiodi, facce da scugnizzi, modi da teppisti.
C’è quello che ha passato la notte drogato, la ragazzina tanto fatta di valium da avere tutta la faccia gonfia. C’è il piccoletto che ha perso la mamma sul fiume Congo, che poi scopri che è epilettico e allora forse la mamma lo ha proprio abbandonato ma lui non lo sa, è disperato e solo e basta. C’è quello che non è buono e nemmeno bravo ma ha  fatto a botte, gli han tagliato la faccia con un rasoio e adesso ha paura una fottuta paura, insieme a una cicatrice che va dal mento alla fronte. Tutti qui dentro, tutti insieme, dove si lavano via gli orrori e si ritorna a essere, a cercare di essere, un po’ bambini.

Al Point d’Eau puoi passarci la giornata, puoi tornarci tutti i giorni, puoi venirci per un pasto e restarci per lavarti.
Gli adulti che lavorano qui li nutrono e li mettono a studiare, li mettono a lavarsi i vestiti sporchi. E li sgridano quando è giusto che sia, soprattutto oggi che hai dato un calcio alla ragazzina che da un mese aspetta un figlio.

* Il Point d’Eau è il milieu ouvert dell’Opera Don Guanella di Kinshasa.
Ogni giorno circa 80 bambini di strada si rifugiano qui per un pasto o per un giorno intero. Il centro garantisce loro 3 pasti al giorno, acqua per lavarsi, vestiti, assistenza psico-socio-sanitaria, corsi di alfabetizzazione.

di ragazze, donne, vite fottute

Anuarite* è una bolla di sospensione profumo di sapone e di cucina qui niente urla, niente risse. la vie en rose. il centro per ragazze madri, per ragazze di strada, per ragazze perse. o per ragazze e basta.

c’è la direttrice, donna grande e grossa, grande come una mamma, grande nei fianchi grande nel seno. la donna cannone.
c’è l’infermiera la dottoressa l’educatrice c’è anche alessia una operatrice italiana grandi orecchini rossi e un fiore di stoffa tra i capelli.
e in cortile in cucina ai lavatoi ci sono loro. le ragazze. ragazze incinte, ragazze prostitute, ragazze offese, ragazze segnate. e poi bambine. bambine timide sfrontate gentili con il broncio. bambine teppiste.
e un grappolo di figli.

Le ragazze arrivano qui quando sono incinte, quando devono partorire, quando devono prendersi una pausa dai troppi uomini in una sola notte o rimettersi in sesto dalle botte della polizia o dagli stupri della polizia.
Hanno 7 9 13 16 anni. Una ha due gemelli in una pancia grande come un cocomero su un corpo secco come uno filo d’erba. Una è Douceur e dolce lo è davvero nonostante il suo handicap che non è solo quello sfregio sul viso di lama di scherno. Una ha il viso da maschio, una ha i capelli da puffo, una è magra una è tonda, una è di 4 mesi, una di 5, una di 6. Una allatta un figlio non suo ma è solo un modo per farsi vedere per mettersi in mostra per dire ci sono anche io. Sono ragazze, alcune diventeranno donne altre chissà si perderanno per sempre.

Perché a kinshasa una ragazza ha solo due strade, farsi fottere o fottersi la vita.

*Anuarite: centro chiuso dell’Opera Don Guanella di Kinshasa, dedicato alle ragazze più grandi: baby prostitute e madri, bimbe incinte o con problemi di droga o Aids. Le ragazze vivono qui giorno e notte, assistite da assistenti, insegnanti, infermiera. Escono solo per andare a scuola o a messa.

di missili, treccine e pipì

SBAAAAAAM
Un missile di due anni e 60 centimetri mi si fionda incontro. Un botto micidiale.
Pastelli e palloncini che stavano in bilico nelle mie mani se ne vanno a ramengo per terra.
Le gambe sono bloccate da una tenaglia umana.

Guardo in giù e vedo una buffa faccina con tante treccine che mi guarda e ride ride ride aggrappata alle mie rotule.
“mama!”
si anche io ti voglio bene.

Seguono 4 ore a saltare ridere correre disegnare ridere correre fare palloncini cercare grattini solletico ridere ancora saltare ballare. una kermesse da far venire una crisi isterica a un babbuino. Poi finalmente si quieta.

Me la ritrovo in braccio, dieci chili di ciccia e moto perpetuo che neanche ci credi che si siano fermati. Buonanotte buonanotte fiorellino. Canto inventando parole con buona pace per De Gregori ma che importa. Importa che però è una buona idea perché sento le sue bracciotte farsi pesanti come il respiro. Le sue mani si rilasciano sulle mie. Le gambe penzolano giù, prima una poi l’altra. Una di qui l’altra di là. Per ultima la testa, scivola piano piano poi pluf, si abbatte sulla mia spalla.

No, non è vero. Non per ultima.
Per ultima, una sensazione di caldo e di umido.
Un lago di pipì che mi inzuppa i pantaloni.

sì, anche io ti voglio bene.

histoire d’eau

Eau è piccolo minuto educatissimo. Eau è uno scricciolo che non parla quasi nulla ma quando parla usa il francese non il lingala.
Dovrebbe avere 8 anni, ma ne dimostra 5 da quanto è denutrito.

Eau è arrivato al centro durante il fine settimana, raccolto chissà dove, sotto qualche cumulo di fogna. Abbandonato perché un’altra bocca da sfamare non possiamo tenerla, in casa. Vattene, arrangiati. Qualcosa troverai.
E Eau ha trovato la sciqué, come la chiamano qui. Pulci.
le pulci hanno scelto le sue dita per metterci le uova. Dita delle mani e dei piedi infettati, feriti da troppo tempo passato in strada passato a non pulirsi mai a dormire dove capita. Dita gonfie deformi. Lui non dice una parola, non si lamenta, se le guarda come a dire: cosa mi succede?

Lo laviamo. Gli troviamo nei sacchi della Caritas qualcosa di pulito da mettergli addosso.l’infermiera scava nella pelle con un bastoncino, sembra una scena di fantascienza vedere uscire quelle piccole maledette palline biancastre dalla pelle.
Deve fare un male maledetto, ma Eau non fa una lacrima non piange non dice neanche un ahi.

Forse perché è la prima volta nella sua vita che qualcuno gli fa male ma solo perché gli vuole bene.

n minuscolo

N. il minuscolo disegna da dio.

Gli basta un bastone un poco di terra e disegna da dio tratti accennati nell’aria poi segni decisi e chiari e precisi.
Ha lo sguardo vivo sveglio pronto.  N. il minuscolo non sta mai nel mezzo sta sempre un po’ più in là n. E’ minuscolo come uno scricciolo mucchietto di ossa e occhi da furetto. N. il minuscolo ha 11 anni ma non gliene dai più di 7, maledetta malnutrizione.
N. il minuscolo è scappato di casa da una casa di miseria di stenti e vergogne di papà e mamma che urlano che sgridano perché sei vivo. N. il minuscolo è spirito libero scappa scappa lontano dorme per strada si arrangia ma è libero poi sono arrivati loro gli uomini del racket quelli che addestrano i bambini a rubare e li sbattono in strada gli danno le droghe gli danno una vita a breve scadenza.
N. il minuscolo è furbo è veloce è piccolo piace a quegli uomini ma N. è soprattutto intelligente e (forse) destinato ad altro e allora scappa scappa anche da lì entra in un portone rosso, entra al Point d’Eau.

N. il minuscolo ora è tranquillo ha passato il peggio ha passato il corso di alfabetizzazione ha passato anche l’esame per poter andare a scuola.
Oggi era il primo giorno. Fiero nella sua uniforme di camicia bianca pantaloni blu zaino in spalla e occhi come due stelle brillanti, ha preso la via che sembrava grandissimo.

giorni di cazzotti e lacrime

Al Point D’Eau oggi c’è un’atmosfera strana, tensione rabbia che esplode per poco o per nulla.
Fuori nelle strade si è sparsa la voce qui si mangia tre volte al giorno. una manna. Arrivano a frotte, puntuali. Accettano di essere perquisiti di lavarsi di mettersi in fila e in realtà accetterebbero tutto pur di mangiare due volte al giorno. Alcuni restano qui tutto il giorno a dormire, perché han passato la notte ubriachi
Restano a farsi medicare un occhio pesto da un pugno o la gamba infetta dal taglio di un machete.
Restano qui perché fuori c’è  pieno di polizia per il Summit della Francophonie, capi di stato e governanti di tutto il mondo, e se li beccano li ammazzano di botte o li sbattono a marcire in galera.
Restano qui perché qualcuno in fondo capisce anche che uscire dal tunnel può cominciare dall’entrare in quella porta la porta del Point D’Eau

Ma dentro devi tenerli buoni: puoi tenerli buoni con i pastelli e le matite, i colori a dita e i palloncini o una sfida per terra abraccio di ferro. In fondo sono bambini e basta poco per passare ore al banco a tracciare scarabocchi.
Improvvisamente teneri e fragili e minuscoli nei loro muscoli da adulti, nelle loro facce segnate dalle cicatrici dai tatuaggi del loro nome sul braccio fatti da chissà chi e con chissà quali scopi, mentre disegnano impegnati. Ed è quasi una gara per sentirsi dire che sei il più bravo il migliore e che bello questo disegno. Alcuni disegnano davvero con talento ci mettono anima fantasia e cuore. e pezzi della loro storia.

Eppure basta un niente, una matita che cade, il bullo che arriva e prende di mano il pastello al piccolo: scatta subito la rissa. Cazzotti spintoni urla profonde sguardi di lama le lacrime dei piccoli presi da un pugno per caso. Si rincorrono si spingono è una cosa tra loro una gerarchia di branco che devono imporsi che arriva dalla strada: picchiare per non essere picchiati.
Ed è allora che nella rissa vedi uno dei più grandi, uno dei più duri uno dei più difficili drogato due giorni su quattro eppure capace di disegni di una bellezza da lasciarti a bocca aperta, lì sdraiato su un tavolo in un angolo il braccio a coprire gli occhi

“sei stanco?”
“sì”
“non hai dormito stanotte?”
“no”
“…………………..”
“mio padre è morto, stanotte”

E tu resti lì perché lui ti trattiene la mano sulla sua spalla, resti lì a dare un contatto. E ti racconta con un fil di voce che lui voleva donare il suo sangue a suo padre, là nell’ospedale dei poveri dove il suo sangue non c’è e il suo non l’hanno voluto perché lui è un drogato. E allora gli luccicano appena gli occhi troppo duro per piangere deve difendersi anche da se stesso poi gli dici parla con Papì, Papì ti ascolta Papì omone grande e meraviglioso che conduce questo branco con il carisma di un papà la gioia di un bambino e la fermezza di una guardia.

Parlano a lungo poi il bullo esce e pensi che forse ha trovato conforto e invece no, niente è prevedibile qui dentro. Basta un bambino che gli passa vicino lo urta per sbaglio, la rabbia esplode. La rissa un pugno urlo silente occhi stretti dolore lo separi gli parli sottovoce gli tocchi il braccio con la tua mano bianca si calma di nuovo. Per ora.

C’è una strana atmosfera oggi al Point D’Eau.
Ma fai fatica ad uscire e tornare a casa.

una domenica al fiume

Il fiume Congo è il secondo fiume al mondo dopo il Rio delle Amazzoni. Vita e morte insieme.

Ci arrivo dalla collina delle ambasciate e dei ricchi, ma tanto tanto ricchi. Collina di ville giardini strade larghe e asfaltate e pulite e ampie e silenzio, spazzini che parlano come maggiordomi. L’Hammer di una ragazzetta bionda. L’ipod del cinquantenne runner. La foto ricordo di un gruppo di cinesi e francesi. Un chihuahua al guinzaglio del padrone libanese. Due donne con l’hijad. E una famiglia italiana, lui lei un paio di bambini e la tata filippina.

Scendo e vado al fiume.

Il grande fiume Congo, gorghi di corrente, marrone di terra portata da mezza Africa. Il fiume dove si pesca, dove si gioca, dove si va con gli amici, dove ci si innamora. Dove si buttano i bambini nati male, o nati senza volerli.

chegué

…..non voltarti cazzo no non voltarti scappa corri veloce ti è dietro il bastardo il maledetto il cane…. 

mamà mamà non rimanere incinta ancora no
papà papà non morire papà per favore no
ho fame abbiamo tutti fame stavolta è la fine
è la fine per tutti

…..non voltarti cazzo no non voltarti scappa corri veloce ti è dietro il bastardo il maledetto il cane…. 

così venne la chiesa del dio che non esiste
la mamma si dispera vuole un motivo alle sue pene
si appella a quel prete che prete non è
e il verdetto è già lì, un verdetto da pazzo
“cercate lo shegué”
le vostre disgrazie sono dentro di voi nella vostra famiglia
e sono sicuro, è in lui, è nel piccolo

il denaro cambia di mano: mamma-prete non prete-esorcista
che questo è un business che rende e fanculo se ci rimette un ragazzino
ce ne sono a centinaia di migliaia qui a kinshasa che sarà mai uno in meno

…..non voltarti cazzo no non voltarti scappa corri veloce ti è dietro il bastardo il maledetto il cane…. 

ti ha preso l’esorcista ti ha preso ti ha steso con un pugno
ti ha legato le gambe
strette
e poi giù botte e sevizie e mutilazioni e sangue e dolore e urli
le senti queste urla? è il diavolo che esce, assicura l’esorcista
e mamma che assiste e mamma che paga e che spera che tutto cambierà

è troppo è assurdo è uno strazio è dolore
che ti sfrangia le budella ti scoppia nel cervello
e ce la fai non so come ce la fai
mentre lui dorme, scappi nella strada scappi dalla vita
col pianto addosso afferri quattro pile e le butti giù come aspirine
vuoi farla finita a otto anni
morire per acido e senza neanche il trip

ieri al Point D’Eau è arrivato un uomo. ti cercava, voleva parlarti. era lui, il sorcier.
gli han detto di tornare domani. domani, bastardo maledetto cane. domani per te ci sarà la galera.

senza parole

E poi ci sono le bambine di Boboto*

Mute. Sorde. Sole. Un piccolo ritardo, un grave problema, gli occhietti un po’ storti, le faccine un po’ strane. Tutti motivi validi per essere abbandonate in strada.

Loro mica ti saltano addosso la prima volta che ti vedono, no. E neanche la seconda. Se sei fortunato, alla terza.
Devo prendere le tue misure: ti guardano ti studiano cercano di capire cosa vuoi da loro o semplicemente cosa vuoi fare insieme a loro.
Già, cosa voglio fare.
Beh, in fondo sono solo bambine.
Provo una boccaccia, sgranano gli occhi, qualche risolino. Faccio la linguaccia, la linguaccia da monella vera. Ridono a crepapelle. Provo a mandare un bacio con la mano. MI mandano un sacco di baci anche loro. Bene, l’abc ce l’abbiamo.
Adesso devo solo imparare i loro versi, segni, strattoni. E imparare a sgridarle, se occorre, senza parole.
Ormai il ghiaccio è rotto, mi ridono in faccia senza pudore, mi toccano i capelli perché loro li hanno corti corti (per i pidocchi), mi mettono il broncio se non le guardo subito, mi corrono dietro quando devo tornare a casa.

Un giorno, porto palloncini e girandole. E loro che non hanno mai avuto un fiocco in testa in tutta la loro vita, smontano la girandola e se la mettono tra i capelli.
Non vedi, siamo tutte principesse.

*Boboto è il Milieu Fermé  dell’Opera Don Guanella per bambine con handicap. Ne può ospitare una quindicina. Qui vivono con due o tre maman che si occupano di loro, ma le ragazze vengono stimolare ad essere autonome: cucinano i loro pasti,  lavano e puliscono le loro stanze, studiano e vanno a scuola.